Il COVID-19 ci ha chiusi tutti in casa E grazie a questa situazione abbiamo scoperto nuove forme di lavorare, di interagire, insomma, di vivere.  Ci siamo sforzati per andare avanti, abbiamo imparato ad usare le videoconferenze e le applicazioni per riunioni virtuali in tempi record, ci siamo adattati a lavorare da casa: spesso in situazioni complesse senza lo spazio necessario, circondati da rumori di sottofondo come l’abbaiare del cane, le urla dei bambini correndo per casa e navigando a mala pensa in una rete lenta e saturata.  Abbiamo smesso di viaggiare, le fiere e gli eventi sono stati cancellati e abbiamo persino posticipato le visite a parenti e amici.  Non ci siamo più recati in ufficio per lavorare (nei mesi di marzo e aprile il 70% della popolazione attiva lavorava da casa) e stiamo riprendendo l’attività presenziale in modo scaglionato e con cautela (in questo momento il 33% delle persone continua con lo smart working).  E le previsioni affermano che questa tendenza si prolungherà nel tempo: se prima della pandemia le riunioni presenziali rappresentavano il 60% degli incontri totali, si stima che nel 2024, solo il 25% delle riunioni saranno presenziali.

Ad ogni modo, vari studi effettuati da diverse fonti (Gensler, McKinsey, Forbes e l’università di Stanford) confermano risultati alquanto sorprendenti. All’inizio i dipendenti sembravano contenti o molto contenti di lavorare da casa propria, ma dopo un po’ di tempo iniziavano a notare problemi di salute mentale, diminizione della creatività e della produttività. Forbes ha effettuato uno studio con 12.000 persone e le conclusioni tratte sono state: solo il 28 % ha mostrato uno stato di salute mentale positivo, il 32 % si è mostrato soddisfatto con il proprio lavoro e il 36 % si è mostrato motivato, un dato inferiore rispetto alle cifre precedenti alla pandemia in cui il 50-60% delle persone erano motivate e soddisfatte da un punto di vista lavorativo. Nicholas Bloom, economista e professore di Stanford studia da diversi anni l’impatto sociologico dello smart working. Nel 2014 ha eseguito un esperimento: un’azienda cinese pretendeva sviluppare un piano aziendale senza invertire in spazi fisici dedicati a uffici. Hanno quindi effettuato una prova con 250 persone che avrebbero dovuto lavorare da casa per 12 mesi. All’inizio i risultati erano promettenti: nei primi 3 mesi la produttività è aumentata del 13% ed è diminuita del 50% la rotazione del personale. Ma dopo 9 mesi, iniziarono a fuoriuscire le prime sensazioni di isolamento e di solitudine. Le persone hanno iniziato a lamentarsi della riduzione delle possibilità di promozione e di non poter parlare sporadicamente o spontaneamente con i propri superiori o colleghi; i livelli di creatività, di innovazione, di motivazione e di impregno nei confronti dell’azienda sono diminuiti drasticamente. Bloom afferma che lo smart working incrementa le disuguaglianze perché non tutti hanno la possibilità di lavorare in remoto e molti lavori sono necessariamente presenziali: trasporti, salute, manifattura, ecc. Inoltre, le condizioni di ciascuno variano notevolmente: è necessaria una buona connessione a internet, uno spazio e un’installazione adeguata a poter lavorare da casa. Stando a quanto considera Bloom, i lavoratori con maggior formazione o potere d’acquisto, hanno un vantaggio superiore per poter lavorare in remoto. Un’altra tendenza che probabilmente persisterà sarà l’esodo dalle grandi città verso le zone limitrofi. Se è necessario mantenere la distanza sociale, probabilmente invece di scegliere un grattacielo, un’azienda preferirà installarsi in una zona industriale meno popolata e di facile accesso.

Lo studio effettuato da Gensler (“US Workplace Survey 2020”) è altrettanto interessante. Consisteva nel chiedere a 2.300 lavoratori di diversi settori da dove preferivano lavorare: da casa, da un coworking, da una caffetteria, ecc. La maggior parte ha confermato che preferiva lavorare in ufficio. Lo studio di Gensler dimostra che prima della pandemia solo 1 persona su 10 lavorava da casa. Durante la pandemia, il 42 % della forza lavoro degli USA ha lavorato da casa. Lo smart working non solo è stata la soluzione per non mandare al collasso l’economia, ma anche un’arma per lottare contro il COVID.

Ma solo un 12% delle persone vuole continuare a lavorare da casa; il resto preferisce tornare in ufficio e applicare un modello misto (due giorni a casa e tre in ufficio). Sentono la mancanza dei colleghi, delle conversazioni davanti alla macchina del caffè, i post-it sulla lavagna, l’energia e l’ambiente che si crea in uno spazio con gente con un unico scopo comune.

Per questo, non possono scomparire determinati spazi in ufficio dedicati alle riunioni e alla collaborazione interpersonale. Anzi, è probabile che diventino più importanti che mai e dobbiamo prestargli un’attenzione speciale.

Le sale riunioni dovranno essere un luogo sicuro e trasmettere questa sensazione di sicurezza. Dovranno essere in grado di trasformarsi rapidamente e facilmente per poter garantire la distanza minima necessaria. I monitor motorizzati retrattili sono indubbiamente versatili e permettono al tavolo di adattarsi istantaneamente a seconda del numero di partecipanti. La tecnologia retrattile serve proprio per rendere flessibile ogni tipo di tavolo. Si utilizzano solo i monitor e i microfoni necessari in base alle necessità e requisiti di ogni riunione e si controllano in modo remoto. Inoltre, integrare sistemi a scomparsa per proteggere e disinfettare il proprio tavolo contribuisce a migliorare la prevenzione e la sensazione di stare in uno spazio sicuro.

Riunirsi per socializzare, collaborare, innovare e creare: questi saranno i principali obiettivi degli uffici. La tecnologia personale per ogni assistente alla riunione, mediante schermo o sistema audio, aumenta la concentrazione e quindi la produttività.

Le sale riunioni dovranno avere gli strumenti tecnologici necessari per adattarsi ai partecipanti connessi in remoto. La videoconferenza svolgerà un ruolo importantissimo. L’integrazione di videocamere individuali in ogni monitor garantisce la massima qualità soprattutto nelle sale in cui non è possibile installare videocamere sulle pareti per assicurare un angolo di visione perfetto e soprattutto quando lo spazio deve essere flessibile per adattarsi ad un numero e disposizione variabile di partecipanti alla riunione.

L’estetica della sala è un elemento fondamentale nell’immagine del marchio corporativo. La tecnologia creata “su misura” per ogni sala, tenendo presente la decorazione e i valori del marchio di ogni azienda, aiuta a rafforzare la personalità aziendale e a contraddistinguersi dai concorrenti.

Le organizzazioni apprezzeranno le sale riunioni come luoghi importantissimi in cui si adottano decisioni strategiche; decisioni critiche per continuare ad essere innovativi e competitivi che verranno assunte solo quando le persone lavorano assieme faccia a faccia.